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Anselmo Palini
OSCAR ROMERO
"Ho udito il grido del mio popolo"

AVE, pp. 272

Luciano Tallarico Educare alla responsabilità

Luciano Tallarico
EDUCARE ALLA RESPONSABILITÀ
ElleDiCi, pp.160


"Il miracolo superfluo" di G. Squizzato

Gilberto Squizzato
IL MIRACOLO SUPERFLUO
(perché possiamo essere cristiani)
Gabrielli Editori, pp. 360


"Il Padre che fu Madre" di Paolo Farinella

Paolo Farinella
IL PADRE CHE FU MADRE
Una lettura moderna
della parabola del Figliol Prodigo
Gabrielli Editori, pp. 320


Testimoni della Coscienza

Anselmo Palini
TESTIMONI DELLA COSCIENZA
da Socrate ai nostri giorni
Editrice Ave, pp. 304


pubblicato il giorno 10 dicembre 2011

COMUNICATO STAMPA

Bagnasco si dichiara disponibile a parlare dell’esenzione dall’ ICI. “Noi Siamo Chiesa” spera che non siano solo parole



Oggi alle 16 ho diffuso una mia dichiarazione sulla questione dell’esenzione dell’ICI per le attività commerciali collegate a strutture ecclesiastiche, esprimendo posizioni severe sulla linea dei vertici ecclesiastici. Più tardi nel pomeriggio il Card. Bagnasco, parlando a Genova, a sorpresa e correggendo posizioni precedenti, ha detto che “se ci sono punti della legge da rivedere o da discutere non ci sono pregiudiziali da parte nostra”, pur ricordando che c’è stata disinformazione e che l’Avvenire l’avrebbe documentata.

A” Noi Siamo Chiesa” fa piacere che, in tal modo, si sia ora manifestata una posizione disponibile a discutere. Supponiamo che ciò sia avvenuto alla luce della mobilitazione in atto in una buona parte dell’opinione pubblica. Potrebbe essere però un primo passo importante. Speriamo che non si tratti solo di una dichiarazione senza alcun seguito.
 

Vittorio Bellavite (Noi Siamo Chiesa)

 

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pubblicato il giorno 10 dicembre 2011

COMUNICATO STAMPA

La Chiesa decida unilateralmente di pagare l’ICI su ogni attività commerciale e sconfessi l’arrogante editoriale del direttore dell’Avvenire. “Noi Siamo Chiesa” auspica una mobilitazione dal basso del mondo cattolico



Il portavoce nazionale di “Noi Siamo Chiesa” Vittorio Bellavite ha rilasciato la seguente dichiarazione:

“La questione dell’ICI non pagata dalla Chiesa si è abbastanza chiarita per le informazioni date da molti media. Così le riassumo: esiste, in base a una legislazione sostanzialmente bipartisan, la possibilità per tante attività commerciali gestite da enti ecclesiastici di non pagare l’ICI quando esse siano collegate ad iniziative ecclesiali, caritative, di culto o altro. Pagano l’ICI invece attività “esclusivamente” commerciali. Questa normativa ha dato vita a controversie faticose e interminabili : chi stabilisce l’esistenza del “collegamento” ? E perché questa esenzione ? E’ certo che di questa norma si servano una gran parte delle strutture ricettive diffuse ovunque nel nostro paese facenti capo, in diverso modo, alla Chiesa. Che esista il fenomeno, esteso e pesante dal punto di vista del mancato gettito fiscale (si parla di 700 milioni), lo testimoniano sia i contenziosi sollevato da amministrazioni comunali direttamente interessate, sia la conseguente posizione dell’Associazione nazionale dei Comuni (ANCI) e anche la ormai antica controversia in sede europea dove si obietta che questa esenzione rappresenterebbe un aiuto di Stato in deroga alle norme sulla libera concorrenza (a danno, cioè, di tutte le altre strutture ricettive).

La Chiesa, predicando contro l’evasione fiscale, è stata ed è contestata vivacemente su questa esenzione, soprattutto questa estate dopo un intervento del Card. Bagnasco e poi in questi giorni. Di fronte all’attuale movimento d’opinione pubblica, la reazione dei vertici ecclesiastici è di due tipi : mentre da una parte il Card. Tarcisio Bertone ha detto “E’ un problema da studiare e da approfondire” (per prendere tempo o per fare qualcosa?) e il Card. Cesare Nosiglia “per le strutture che ospitano turisti, si pagherà”, dall’altra il vertice della CEI, si suppone il Card. Bagnasco, ha concordato con l’Avvenire di fare le barricate contro qualsiasi modifica della situazione attuale. In un editoriale del 7 dicembre, ripubblicato ieri in modo provocatorio, il suo direttore Marco Tarquinio sostiene che si vuole colpire la solidarietà organizzata dalla Chiesa, che ci troviamo di fronte a un attacco radical-massonico, che c’è un fantasma che si aggira per l’Italia (sarebbe la Chiesa che non pagherebbe l’ICI) e che “chi dice il contrario mente sapendo di mentire”e via di questo passo. Meraviglia un testo tanto arrogante, senza alcun controllo, e che soprattutto non fa i conti con la realtà, anzi che la nega sfacciatamente. Tanta acrimonia mi sembra una manifestazione di debolezza oppure della consapevolezza che, con lo scontro frontale, si otterrebbe il risultato di mantenere lo statu quo (e quindi il privilegio) grazie anche alla nuova situazione politica e alla scarsità di “cattolici adulti” in Parlamento.

“Noi Siamo Chiesa” ripete ancora una volta che i vertici ecclesiastici non dovrebbero vergognarsi di fare un passo indietro e di risolvere la questione dichiarando unilateralmente che tutte le strutture ecclesiastiche che godono o che potrebbero godere del “collegamento” abbandonino ogni contenzioso e paghino l’ICI per qualsiasi attività commerciale da esse dipendente (si intende ovviamente che resterebbe l’esenzione per le attività veramente di culto e altre attività non profit). Sarebbe un passo in avanti nella direzione di una Chiesa orientata a maggiore sobrietà e che inizia a rinunciare a qualcosa del molto che riceve in Italia dalle istituzioni per favorire una maggiore disponibilità ad ascoltare il proprio vero messaggio, quello del Vangelo, presso un’area di opinione infastidita (o disgustata) dall’ incalzare da queste pretese clericali.

Tutto ciò premesso, dall’interno di questa nostra Chiesa, diciamo ad alta voce, e “annunciandolo dai tetti” (Matteo 10,27), che nel mondo cattolico si deve mettere in moto un movimento di base che, ispirandosi al Concilio, convinca e costringa le strutture ecclesiastiche a smantellare le barricate e a dimostrare concretamente, anche a partire da questa questione dell’ICI, di essere anch’esse partecipi delle difficoltà e dei sacrifici che incontrano in questi tempi tanti del nostro popolo”.

Vittorio Bellavite (Noi Siamo Chiesa)

 

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pubblicato il giorno 28 novembre 2011

PRESENTAZIONE DELLA COLLANA "CAMPO DEI FIORI"

Scrivevo quasi un anno fa ai librai che viviamo un tempo strano, dove non esiste più una religione condivisa ma che manifesta una grande domanda di spiritualità, e che era precisamente questa domanda che Campo dei Fiori intendeva laicamente interpretare. Ora, a distanza di quasi un anno dall’inizio delle pubblicazioni, è possibile constatare che siamo sulla strada giusta.

L’accoglienza dimostrata dai lettori, dalla stampa, dai librai e in genere da tutti gli attori del mercato del libro verso le pubblicazioni di Campo dei Fiori attesta che stiamo riuscendo a interpretare la tensione spirituale del momento presente, nel quale emerge con evidenza sempre più palmare la non automatica sovrapponibilità di spiritualità e di religione. Vi sono persone che coltivano un autentico sentire spirituale senza aver alcun bisogno di professare una religione istituita, e vi sono persone che aderiscono con convinzione a una religione istituita senza che abbiano una sola nota dell’autentica ricerca spirituale. Sottolineare il primato della spiritualità rispetto alla religione è il principale obiettivo che Campo dei Fiori intende perseguire con le sue pubblicazioni, una spiritualità come libertà, fiducia nella vita, creatività, amore per la bellezza, comunione con la natura, fraternità con ogni essere umano, stupore di fronte al mistero.

Da sempre lo strumento più appropriato per coltivare la libera ricerca spirituale sono i libri, perché non c’è nulla come la lettura solitaria che incida nel profondo dell’anima, ammesso naturalmente che il libro che si tiene tra le mani sia un libro vero. Le opere che finora abbiamo scelto hanno saputo coniugare i due capisaldi di ogni pubblicazione ben riuscita, cioè la competenza a livello di contenuti e la chiarezza a livello di forma espressiva, e noi intendiamo continuare in questa prospettiva anche per il 2012, con lo stesso coraggio e la stessa determinazione, presentando novità italiane e internazionali unite alla ripresa di grandi libri del passato ingiustamente dimenticati.

“Il mondo oggi ha bisogno di sapienza”, scriveva Matthew Fox nell’Introduzione a In principio era la gioia. Noi condividiamo questa affermazione e con i libri di Campo dei Fiori cerchiamo di offrire il nostro contributo al riguardo.

Vito Mancuso

 

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pubblicato il giorno 28 novembre 2011

LA RESPONSABILITÀ DEL FALLIMENTO

La cocaina e l’alcol, la droga e i rituali, i totem che non sono mai scalfiti dalle conseguenze, dai dazi che verranno pagati, perché i conti prima o poi richiedono di essere saldati.

Ragazzi griffati e giovani con firme di rincalzo, stanno in piedi a guardare il mondo che passa, e improvvisamente franano sul pavimento per non essersi accorti di quanto è andato perduto.

Forse la violenza non è davvero connessa con l’uso delle sostanze, forse le droghe non sono ree confesse delle disperazioni che costruiscono, forse l’uso e abuso delle sostanze è un problema di seconda fascia.

Ci vuole più coerenza e coraggio per ripudiare i troppi “forse”  spalmati sul terreno come trappole mortali, quando si tratta di giovanissimi, di uomini, di persone, destinate a diventare drammaticamente delle “cose”.

Stiamo parlando di una società del diritto alla vita, basata sulla legalità e sulla sua democratica accettazione delle regole, ma nonostante questo invito al rispetto di se stessi e degli altri, c’è un rumore persistente in sottofondo, che induce a portare avanti le tesi che vorrebbero le droghe sugli scaffali del supermercato, o ben risposte nelle tasche di chi non ha capacità di scelta, anche di chi scelte non ha mai avuto.

Sarebbe sufficiente riprendere in mano poche ma chiare regole, una su tutte, e cioè che la libertà non vende in piazza la propria mercanzia, ma fa della giustizia uno stile di vita che non abbisogna di eccessi, nè timori riverenziali per chicchessia.

Città grandi e piccole, paesi e periferie, hanno in casa quesiti complessi, che investono i più giovani, i quali non posseggono la misura che intercorre tra i diritti e i doveri, tra un sogno da rincorrere e una speranza che non abbandonerà mai gli uomini che diventeranno.

Quando i ragazzi stanno piantati al vicolo cieco, è inizio di una sofferenza,  il frutto di una comoda cecità del cuore, degli occhi, una irresponsabilità a non volere sapere e vedere il mondo interiore  di chi si ostina a mantenere le scarpe slacciate, ma anche di chi non fa nulla per prendere in mano la situazione.

Cocaina e affanno che avanza con le sembianze di una stanchezza di vivere, ma nutrire questa sensazione a meno di vent’anni non è solamente una bestemmia indicibile, è di più, una resa che ha domicilio ben preciso, seppure forte è il tentativo di mimetizzarsi, di inabissarsi nei tanti problemi che ognuno ha e porta nella propria casa, eppure la responsabilità non è mai una giustificazione, una attenuante, una assoluzione scontata.

Studi e ricerche vorrebbero significare che droga e violenza non è binomio inscindibile, le due dimensioni del dis-valore non sono compagni di viaggio, eppure dall’incontro e dalla cerimonia di iniziazione cui spesso i giovani sono soggetti, accade che lo spazio conquistato divenga un ring, un’arena dove sfogare frustrazioni e regole inventate, decalogo non disponibile ad accettare titubanze o insubordinazioni.

Ai vuoti familiari, alle assenze di dialogo, alle incapacità del parlare e farsi comprendere, fanno supplenza gli atteggiamenti della forza che fa prepotenza, perfino il mito della bellezza non riesce più a coprire gli ammanchi esistenziali.

Ora e non domani è il momento per tentare di fare nascere uno stare insieme diverso, in cui si parla e non si grida, in cui si ascolta e non si sparano sempre più grosse per fare rumore, e qualche volta si pensa al bene da fare attraverso il proprio comportamento.

 

Vincenzo Andraous

 

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pubblicato il giorno 6 novembre 2011

LA GIUSTIZIA GIUSTA

Una studentessa mi ha chiesto cos’è la Giustizia, quale giustizia alberga nel cuore di una società, quanta giustizia c’è nella vita di un cittadino libero e di un altro detenuto.

La domanda è venuta perché la giovane ha chiesto collaborazione per la sua tesi di laurea incentrata sulla effettiva possibilità di una risocializzazione carceraria.

Parrebbe difficile dare una risposta lineare e quindi sensata, invece è proprio dalla mia esperienza drammaticamente folle che può arrivare una spiegazione consapevole, responsabile, infatti da quella in-giustizia nasce l’esigenza di una riparazione.

Il crimine è sempre violazione intenzionale di una disposizione di legge, lo è doppiamente quando la rottura del patto sociale avviene con un atteggiamento criminogeno travestito di "giustizia" artigianale, fatta in casa, dentro agglomerati di criminali in pectore.

Con i decenni chiusi dai chiavistelli e calati a piombo sulle spalle, la mente ritorna agli anni affondati nelle storie anonime e blindate di tanti uomini in catene, di altri che purtroppo non ci sono più.

Sono frammenti di vita che non vanno nascosti, né manipolati, rendono trasparente il cammino da fare, quella mutazione possibile, accettabile, che invita le persone ad andare incontro a una intera società.

Quando la Giustizia è lontana, non c’è richiamo o fronda che possa risvegliarne equità e umanità, è distanza di ogni giorno, a ogni grido di aiuto inascoltato, di ogni diritto annullato, anche solo per una frazione di secondo, nella frazione di uno sparo.

Giustizia è un valore che non può rimanere fuori dall’uscio di alcun abitato, neppure all’interno di una istituzione chiusa e refrattaria alla trasparenza come il carcere, anche lì, la giustizia dovrebbe essere assunta come obiettivo da perseguire pervicacemente per il benessere della persona, di tutte le persone, facendoci schierare apertamente dalla parte di chi non vede riconosciuti i propri diritti fondamentali, cercando di comprendere e sostenere chi è calpestato quotidianamente nei propri diritti e fin’anche nei propri doveri, perché non è consentito appropriarsene per custodirne lo strumento riabilitante.

In un tempo definitivamente trapassato, quegli anni di piombo fuso che non risparmiava niente e nessuno, neppure l’ultima volontà di un perdono, le rivolte e il sangue segnavano i perimetri carcerari, in quella violenza spesso indicibile, ribellioni e devastazioni nell’illusione di umanizzare il carcere, invece servivano a fare il gioco di chi il carcere lo voleva disumano e disumanizzante.

La Giustizia non è una parola da intendere a proprio piacimento, neppure paravento di una qualche e più grave ingiustizia, la vittima, il colpevole, il cittadino libero e quello detenuto, è persona con il suo valore, con la sua relazione, la storia di ieri, quella di oggi e di domani: in quel prima, durante e dopo, è necessario fare vivere la giustizia anche in carcere, elemento che determina la metodologia di qualsiasi intervento repressivo e preventivo, che punisce la persona, ma ne rispetta la dignità e la soggettività.

In famiglia, a scuola, nella società, dentro un carcere, perché esso ne è parte importante, la Giustizia non è una figura retorica, una condizione precaria, ma compagna di viaggio di ognuno, è radice autorevole per ciascuno, perché consegna rispetto alla vita, infatti come ha detto qualcuno ben più lungimirante di me, " il rispetto è una scelta, la paura un obbligo"

Vincenzo Andraous

 

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