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Anselmo Palini Luciano Tallarico Gilberto Squizzato Paolo Farinella Anselmo Palini |
pubblicato il giorno 10 dicembre 2011 COMUNICATO STAMPA Bagnasco si dichiara disponibile a parlare dell’esenzione
dall’ ICI. “Noi Siamo Chiesa” spera che non siano solo parole Vittorio Bellavite (Noi Siamo Chiesa)
pubblicato il giorno 10 dicembre 2011 COMUNICATO STAMPA La Chiesa decida unilateralmente di pagare l’ICI su ogni
attività commerciale e sconfessi l’arrogante editoriale del
direttore dell’Avvenire. “Noi Siamo Chiesa” auspica una
mobilitazione dal basso del mondo cattolico Vittorio Bellavite (Noi Siamo Chiesa)
pubblicato il giorno 28 novembre 2011 PRESENTAZIONE DELLA COLLANA "CAMPO DEI FIORI" Scrivevo quasi un anno fa ai librai che viviamo un tempo strano,
dove non esiste più una religione condivisa ma che manifesta una grande
domanda di spiritualità, e che era precisamente questa domanda che
Campo dei Fiori intendeva laicamente interpretare.
Ora, a distanza di quasi un anno dall’inizio delle pubblicazioni, è
possibile constatare che siamo sulla strada giusta. Vito Mancuso
pubblicato il giorno 28 novembre 2011 LA RESPONSABILITÀ DEL FALLIMENTO La cocaina e l’alcol, la droga e i rituali, i totem che non sono mai scalfiti dalle conseguenze, dai dazi che verranno pagati, perché i conti prima o poi richiedono di essere saldati. Ragazzi griffati e giovani con firme di rincalzo, stanno in piedi a guardare il mondo che passa, e improvvisamente franano sul pavimento per non essersi accorti di quanto è andato perduto. Forse la violenza non è davvero connessa con l’uso delle sostanze, forse le droghe non sono ree confesse delle disperazioni che costruiscono, forse l’uso e abuso delle sostanze è un problema di seconda fascia. Ci vuole più coerenza e coraggio per ripudiare i troppi “forse” spalmati sul terreno come trappole mortali, quando si tratta di giovanissimi, di uomini, di persone, destinate a diventare drammaticamente delle “cose”. Stiamo parlando di una società del diritto alla vita, basata sulla legalità e sulla sua democratica accettazione delle regole, ma nonostante questo invito al rispetto di se stessi e degli altri, c’è un rumore persistente in sottofondo, che induce a portare avanti le tesi che vorrebbero le droghe sugli scaffali del supermercato, o ben risposte nelle tasche di chi non ha capacità di scelta, anche di chi scelte non ha mai avuto. Sarebbe sufficiente riprendere in mano poche ma chiare regole, una su tutte, e cioè che la libertà non vende in piazza la propria mercanzia, ma fa della giustizia uno stile di vita che non abbisogna di eccessi, nè timori riverenziali per chicchessia. Città grandi e piccole, paesi e periferie, hanno in casa quesiti complessi, che investono i più giovani, i quali non posseggono la misura che intercorre tra i diritti e i doveri, tra un sogno da rincorrere e una speranza che non abbandonerà mai gli uomini che diventeranno. Quando i ragazzi stanno piantati al vicolo cieco, è inizio di una sofferenza, il frutto di una comoda cecità del cuore, degli occhi, una irresponsabilità a non volere sapere e vedere il mondo interiore di chi si ostina a mantenere le scarpe slacciate, ma anche di chi non fa nulla per prendere in mano la situazione. Cocaina e affanno che avanza con le sembianze di una stanchezza di vivere, ma nutrire questa sensazione a meno di vent’anni non è solamente una bestemmia indicibile, è di più, una resa che ha domicilio ben preciso, seppure forte è il tentativo di mimetizzarsi, di inabissarsi nei tanti problemi che ognuno ha e porta nella propria casa, eppure la responsabilità non è mai una giustificazione, una attenuante, una assoluzione scontata. Studi e ricerche vorrebbero significare che droga e violenza non è binomio inscindibile, le due dimensioni del dis-valore non sono compagni di viaggio, eppure dall’incontro e dalla cerimonia di iniziazione cui spesso i giovani sono soggetti, accade che lo spazio conquistato divenga un ring, un’arena dove sfogare frustrazioni e regole inventate, decalogo non disponibile ad accettare titubanze o insubordinazioni. Ai vuoti familiari, alle assenze di dialogo, alle incapacità del parlare e farsi comprendere, fanno supplenza gli atteggiamenti della forza che fa prepotenza, perfino il mito della bellezza non riesce più a coprire gli ammanchi esistenziali. Ora e non domani è il momento per tentare di fare nascere uno stare insieme diverso, in cui si parla e non si grida, in cui si ascolta e non si sparano sempre più grosse per fare rumore, e qualche volta si pensa al bene da fare attraverso il proprio comportamento.
Vincenzo Andraous
pubblicato il giorno 6 novembre 2011 LA GIUSTIZIA GIUSTA Una studentessa mi ha chiesto cos’è la Giustizia, quale giustizia alberga nel cuore di una società, quanta giustizia c’è nella vita di un cittadino libero e di un altro detenuto. La domanda è venuta perché la giovane ha chiesto collaborazione per la sua tesi di laurea incentrata sulla effettiva possibilità di una risocializzazione carceraria. Parrebbe difficile dare una risposta lineare e quindi sensata, invece è proprio dalla mia esperienza drammaticamente folle che può arrivare una spiegazione consapevole, responsabile, infatti da quella in-giustizia nasce l’esigenza di una riparazione. Il crimine è sempre violazione intenzionale di una disposizione di legge, lo è doppiamente quando la rottura del patto sociale avviene con un atteggiamento criminogeno travestito di "giustizia" artigianale, fatta in casa, dentro agglomerati di criminali in pectore. Con i decenni chiusi dai chiavistelli e calati a piombo sulle spalle, la mente ritorna agli anni affondati nelle storie anonime e blindate di tanti uomini in catene, di altri che purtroppo non ci sono più. Sono frammenti di vita che non vanno nascosti, né manipolati, rendono trasparente il cammino da fare, quella mutazione possibile, accettabile, che invita le persone ad andare incontro a una intera società. Quando la Giustizia è lontana, non c’è richiamo o fronda che possa risvegliarne equità e umanità, è distanza di ogni giorno, a ogni grido di aiuto inascoltato, di ogni diritto annullato, anche solo per una frazione di secondo, nella frazione di uno sparo. Giustizia è un valore che non può rimanere fuori dall’uscio di alcun abitato, neppure all’interno di una istituzione chiusa e refrattaria alla trasparenza come il carcere, anche lì, la giustizia dovrebbe essere assunta come obiettivo da perseguire pervicacemente per il benessere della persona, di tutte le persone, facendoci schierare apertamente dalla parte di chi non vede riconosciuti i propri diritti fondamentali, cercando di comprendere e sostenere chi è calpestato quotidianamente nei propri diritti e fin’anche nei propri doveri, perché non è consentito appropriarsene per custodirne lo strumento riabilitante. In un tempo definitivamente trapassato, quegli anni di piombo fuso che non risparmiava niente e nessuno, neppure l’ultima volontà di un perdono, le rivolte e il sangue segnavano i perimetri carcerari, in quella violenza spesso indicibile, ribellioni e devastazioni nell’illusione di umanizzare il carcere, invece servivano a fare il gioco di chi il carcere lo voleva disumano e disumanizzante. La Giustizia non è una parola da intendere a proprio piacimento, neppure paravento di una qualche e più grave ingiustizia, la vittima, il colpevole, il cittadino libero e quello detenuto, è persona con il suo valore, con la sua relazione, la storia di ieri, quella di oggi e di domani: in quel prima, durante e dopo, è necessario fare vivere la giustizia anche in carcere, elemento che determina la metodologia di qualsiasi intervento repressivo e preventivo, che punisce la persona, ma ne rispetta la dignità e la soggettività. In famiglia, a scuola, nella società, dentro un carcere, perché esso ne è parte importante, la Giustizia non è una figura retorica, una condizione precaria, ma compagna di viaggio di ognuno, è radice autorevole per ciascuno, perché consegna rispetto alla vita, infatti come ha detto qualcuno ben più lungimirante di me, " il rispetto è una scelta, la paura un obbligo" Vincenzo Andraous
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